(QUOTIDIANO COME UNA FOGLIA DI ALLORO)
Sono andato a vedere “Fuocoammare”, il documentario di Gianfranco Rosi
che pochi giorni fa ha vinto l’orso d’oro al festival di Berlino come miglior film. Non sapevo nulla di questo film se non che era “su Lampedusa” e i profughi che vi approdavano. Proprio perché non sapevo nulla sono andato a vederlo senza aspettarmi qualcosa di preciso, che per me è lo stato d’animo migliore per pormi davanti a un’opera. L’accetto per come viene, senza pensare a un modello dentro cui classificarla. Certo, a volte la fiducia concessa all’autore nel momento in cui ti abbandoni ad esso può risultare mal riposta, ma non in questo caso: Fuocoammare è un’opera notevole.
All’inizio sono rimasto spiazzato. Infatti come vi ho detto io pensavo di essere andato al cinema senza pregiudizi, in questo caso senza un modello di documentario in testa, e invece no, quello che vedevo sullo schermo mi lasciava insoddisfatto. Avevo in mente a un’inchiesta giornalistica, interviste, scene di salvataggi e soccorsi. Vedevo alcuni personaggi, un ragazzino, il padre pescatore, la nonna, un medico, un DJ… li vedevo mentre vivevano la loro vita, ma non capivo qual era il messaggio.
Poi, complice quella donna da sposare che è mia moglie (vedi post precedente), ho capito che il regista mi stava facendo vedere la quotidianità dell’isola. E’ stata lei infatti a dirmi: “E’ tutto così quotidiano…” Certo, c’è anche l’emergenza, se ne parla, si vede, ma essa convive con la quotidianità, ed è proprio questa che descrive Rosi nel suo documentario. Letteralmente la descrive, non la dice, con un linguaggio seducente, quello dei gesti piccoli di ogni giorno (giocare con la fionda, rifare il letto, mettere su un disco, contare i cadaveri sul fondo di un barcone), che non sono mai eccezionali, sorprendenti, proprio perché ripetitivi, quasi ipnotici.
A un certo punto sulla barca del pescatore vengono issati tre calamari, poi li vediamo sulla tavola della nonna del bambino, che li pulisce, quindi ci fa il sugo. Mentre la donna li rigira nel tegame fa capolino una foglia di alloro. Tutto così quotidiano. Come la stanchezza del medico che non vorrebbe più fare ispezioni cadaveriche, e che dice, “Se uno è un uomo che è un uomo, questa gente l’aiuta”.