Il signor Palomar a Rontagnano

Nell’ottobre 2022 gli eredi di Annantonia Gualtieri hanno donato alla Civica Biblioteca di Rontagnano tutti i libri raccolti in vita dalla critica d’arte, circa 12000 volumi, e soprattutto il suo archivio, che contiene – oltre ai diari e alle bozze dei suoi saggi e degli articoli pubblicati sui quotidiani – preziose corrispondenze con importanti autori del XX secolo. Nonostante l’archivio sia ancora in fase di catalogazione, la direttrice della biblioteca, Marisa Ramberti, mi ha segnalato alcuni documenti davvero interessanti che mi pare bello condividere.

Il primo è un capitolo inedito di Palomar di Italo Calvino, composto dallo scrittore nell’estate del 1982, ospite a Rontagnano dell’amica Gualtieri. Non so quale potesse essere la collocazione del capitolo mancante nell’opera pubblicata, né se sia stato scritto con la finalità di pubblicarlo e successivamente scartato o fin da subito concepito come semplice divertissement (propendo per quest’ultima ipotesi, per via del finale); in ogni caso mi sembra un’ottima cosa iniziare il nuovo anno condividendo con voi questo documento. Buona lettura.

Non appena spiove il signor Palomar si affaccia sul giardino. Si è trattato di un acquazzone estivo, repentino e veloce, e l’aria è tiepida; il caldo dell’estate è già pronto a ridestarsi ora che il sole torna a brillare nel cielo sgombro. Il signor Palomar è solo in casa, perché la moglie dopo pranzo era andata con un’amica a prendere l’affogato al caffè nella gelateria del corso. Lui era rimasto a casa con l’intenzione di scrivere una lettera. A dire il velo il signor Palomar non ha nessuno a cui scrivere, ma quella mattina, mentre i nuvoloni grigi cominciavano ad addensarsi in cielo e lui seduto al tavolo del giardino beveva il caffè e fumava la prima sigaretta, aveva provato una gran voglia di scriverla. Però, lo capite pure voi, una lettera ha bisogno di un destinatario, altrimenti non si può spedire. Questo, era un problema. Certo, esistono pure le lettere che non si spediscono, magari per pudore, magari per paura, magari perché alla fine risultano un mero esercizio di stile, ma il vento freddo che preannunciava la pioggia aveva interrotto i  pensieri del signor Palomar, e in seguito il temporale, durante l’intera mattinata, l’aveva distolto dai suoi ragionamenti perché aveva passato le ore giocando a carte con la moglie. Ora che il bel tempo è tornato ed è solo in casa (la solitudine è un elemento importante per l’esercizio della scrittura), affacciandosi sul giardino prova di nuovo l’irresistibile voglia di scrivere una lettera. Non si pone più il problema di non sapere a chi inviarla, tanto è forte il richiamo della scrittura.

“Sarà una lettera scritta a mano”, si dice il signor Palomar, perché al pensiero dei movimenti sinuosi delle dita, raccolte attorno alla penna biro come le bocche degli uccellini che stringono il vermicciattolo offerto dal becco della madre, prova un brivido di piacere quasi fisico. E poi c’è il filo dell’inchiostro che si srotola dalla punta a sfera, come un gomitolo animato, in grado di disegnare i simboli dei suoni (prima le lettere e poi le parole), articolandoli in un discorso sensato. E’ così forte il desiderio di stringere una penna che il signor Palomar comincia a cercarla. Ma non la trova. E’ sempre così, più si desidera qualcosa, meno si riesce ad ottenerla. Alla fine, sul comodino della moglie, adagiata sulla Settimana enigmistica, ne scorge una, blu. “Avrei preferito nera, ma andrà bene lo stesso”, si dice. Ora però deve trovare un foglio di carta, e una busta, però quelli, per quanto cerchi (e per quanto sia sicuro-sicurissimo di averne in casa), in casa non li trova.

Sul tavolino dell’ingresso ci sono delle cartoline, mezzo di comunicazione che il signor Palomar non ama, in quanto frivolo e troppo sintetico. Come si può mai scrivere qualcosa di degno in sole quattro righe? Ma non appena formula questa domanda in un angolo della sua mente ne sorge un’altra? E se la vera comunicazione non potesse darsi se non per messaggi brevi, essenziali? Sintetici. Di una frase sola, magari. O perché no, di una sola parola. Una sola parola in grado di veicolare la sintesi di uno stato d’animo, di un pensiero articolato. Ad esempio, pensando alla bella giornata che fuori è tornata a splendere il signor Palomar ora vorrebbe scrivere “blu”, così afferra la penna (che coincidenza, proprio di quel colore!) e sulla cartolina veloci le sue dita disegnano le lettere che danno forma a quel suono, ma… la penna non scrive.

Il signor Palomar calca più forte, fa correre la penna avanti e indietro per un breve tratto, soffia sulla punta della biro, la mette in bocca e la bagna con la saliva, però niente: la penna non scrive. Questa delusione fa nascere nella sua mente un pensiero improvviso: che senso avrebbe scrivere qualcosa se non si ha nessuno a cui comunicarla? “E’ davvero così?”, si chiede il signor Palomar, “La comunicazione ha senso solo se presuppone qualcuno che la riceva?”.

Il signor Palomar esce di casa, in fretta, con la cartolina in mano, e veloce si dirige verso il centro Sip della località di mare dove con la moglie sta trascorrendo le vacanze. Una volta arrivato entra e avanza dritto verso gli elenchi telefonici del suo Paese. Sono appesi a testa in giù in doppia fila, offrendo sul dorso a chi legge il nome delle provincie. Palomar sceglie un elenco a caso, a caso lo apre e sempre a caso fa cadere l’indice su un punto. E legge.

Poi prende la penna legata con una cordicella all’estremità della doppia fila degli elenchi e sulla cartolina scrive: “per la signora Annantonia Gualtieri, via Rontagnano 37A, cap. 47030 Rontagnano (tra parentesi: FO)”. E nello spazio per il testo: “Ciao Annantonia!”.