MADAME BOVARY E “L’ALTRA” MADAME BOVARY

“Eravamo a lezione quando entrò il Preside seguito da uno nuovo vestito in borghese, e da un bidello che portava un grande banco. Quelli che dormivano si svegliarono e ognuno si alzò come sorpreso nel suo lavoro.(1)

Madame Bovary
Madame Bovary

È l’incipit de La signora Bovary (1857), di Flaubert.
Il lettore sta ascoltando una storia raccontata dalla voce di un personaggio, qualcuno che si trova a lezione e vede arrivare un nuovo studente. La storia che ci apprestiamo a leggere è quindi resa secondo lo stile narrativo di una testimonianza. In realtà non è così, ma dovremmo aspettare almeno quattro pagine per rendercene conto; subito dopo infatti la storia continua in questo
modo:

“Il Preside ci fece segno di sederci, poi rivolgendosi al maestro: – Signor Roger, gli disse a bassa voce, ecco un allievo che vi raccomando, entra in quinta. Se il suo lavoro e la sua condotta ne saranno all’altezza passerà fra i grandi, come vorrebbe la sua età.” (2)

Si delinea meglio il contesto della testimonianza che ci viene resa, scopriamo che la classe dove si teneva la lezione è una quinta elementare. Continuando a leggere troviamo altri riferimenti che rafforzano la nostra idea di stare leggendo il racconto di uno scolaro di quinta:“Rimasto nell’angolo, dietro la porta, così che lo si scorgeva appena, il nuovo era un ragazzo di campagna di circa quindici anni, e alto più di tutti noi.” (3)

E poco più oltre:

“Entrando in classe avevamo l’abitudine di lanciare i nostri berretti per terra, così da avere le mani più libere; bisognava lanciarli dalla soglia sotto il banco, in modo da colpire il muro alzando molta polvere; era quello il modo.” (4)

La nostra percezione del tipo di narratore a cui stiamo prestando attenzione
potrebbe cambiare nel momento in cui al “noi” che ci ha illustrato gli avvenimenti
fino ad allora subentra un soggetto più generico. Ciò accade quando il professore
invita il nuovo arrivato ad alzarsi:

“Si alzò; il suo berretto cadde. Tutta la classe si mise a ridere.” (5)

Ecco, “la classe”, e non più il “noi”, scoppia a ridere. In effetti, ma questo lo scopriremo solo più tardi, è il primo segno che un secondo narratore si è sostituito al primo, un narratore che non partecipa agli avvenimenti in qualità di testimone, e che li racconta con il distacco di chi sa ogni
cosa, compreso ciò che un semplice personaggio per sua natura non potrebbe sapere. In questo momento al lettore non è però dato di accorgersene: nel soggetto indistinto della “classe” il narratore che fino a poco prima si è mescolato a tutti gli altri scolari attraverso il pronome personale “noi”, potrebbe tranquillamente riconoscersi. È invece difficile continuare a crederlo nel momento in cui un compagno seduto vicino al nuovo gli fa cadere in terra
il berretto, venendo indicato genericamente come “un vicino”:

“Un vicino lo fece cadere con una gomitata, lui lo raccolse ancora una volta.” (6)

Se chi parla è uno della classe sicuramente conosce il nome di quel compagno dispettoso, scegliendo di indicarlo in maniera anonima vuole esprimere… cosa? È un pudore inspiegabile in un bambino di quinta elementare, che poco più oltre, quando il professore irritato ordina al nuovo di sbarazzarsi del berretto, continua a illustrare i comportamenti suoi e dei compagni
indicandoli genericamente con “la scolaresca” (les écoliers):

“La scolaresca scoppiò in una risata tale che sconcertò il povero ragazzo, a tal punto che non sapeva se tenere il berretto in mano, lasciarlo cadere in terra o metterselo sulla testa.”
(7)

Se però il “noi” sembra definitivamente accantonato, lo ritroviamo nella
scena immediatamente successiva a quella dell’ingresso “del nuovo” (nel
frattempo abbiamo imparato che si chiama Charles Bovary), quando egli studia,
di sera, nella sala comune:

“La sera, nell’aula di studio […] lo vedemmo lavorare coscienziosamente, cercando tutte le parole sul dizionario e dandosi molto da fare.” (8)

Ma sarà l’ultima volta che le vicende vengono narrate con il primo pronome plurale. In tutto il resto del romanzo non apparirà più l’identificazione del narratore con un personaggio, un compagno di scuola di Charles Bovary.
Poche righe dopo infatti comincerà il racconto delle origini di Charles, partendo dalla storia del padre, racconto che ci spiegherà come Charles ebbe modo di conoscere Emma Rouault e poi sposarla. Successivamente il narratore ci racconterà la storia di Emma, da quando era bambina fino al matrimonio con Charles. Certo, un compagno di scuola di Charles potrebbe avere stretto
con lui un rapporto di amicizia protrattosi nel tempo, in modo di sapere tutto ciò che gli era successo da quei giorni di scuola fino alla fine della sua vita, venendo a conoscenza direttamente da Charles della sua infanzia (e quindi anche della storia del padre), ma come spiegare la conoscenza di questo personaggio/narratore anche del passato di Emma?
Soprattutto, man mano che il romanzo procede, agli occhi di noi lettori si impone inequivocabilmente la figura di Emma come unica protagonista del romanzo, sarebbe stilisticamente azzardato e difficile sostenere la narrazione come racconto di un amico di un personaggio secondario.
In realtà la padronanza degli avvenimenti e il tono con cui sono esposti, dimostrano che il compagno di scuola di Charles Bovary non c’è più, in un punto non dichiarato a lui si è sostituito il narratore onnisciente, in grado di trattare con lo stesso distacco sia i coniugi Bovary sia ogni personaggio minore presentato nel corso dell’opera.
La tecnica narrativa è composta dalla descrizione dei fatti unita all’analisi interiore dei personaggi, così che a noi lettori non è celato nulla di essi, azioni e pensieri. E questa tecnica, come dicevo, è applicata tanto a Charles quanto a Emma.
Il narratore, ad esempio, a proposito di Charles fra le altre cose ci dice che durante la sua vita da studente di medicina prese l’abitudine a frequentare i locali notturni diventando un habitué del domino. Questo è un fatto. Continuando a leggere troviamo l’analisi interiore di quel fatto, il significato e il valore che per Charles quelle pratiche rappresentavano:

“Cominciò a frequentare i caffè, appassionandosi al domino. Chiudersi ogni sera in uno sporco locale per sbattere sui tavolini di marmo gli ossicini di montone contrassegnati da punti neri, gli sembrava una preziosa manifestazione di libertà che accresceva la stima di se stesso. Era come un’iniziazione alla vita, l’accesso a piaceri proibiti; entrando posava la mano sulla maniglia della porta con una gioia quasi sensuale. Allora, molte cose sopite in lui si risvegliarono; imparò a memoria ritornelli che cantava durante le feste, si entusiasmò per Béranger, imparò a fare il punch e infine conobbe l’amore.” (9)

La stessa cosa avviene per Emma: ci viene descritta un’azione, o una serie
di azioni, a cui segue l’analisi interiore:

“Invece di annoiarsi in convento i primi tempi si tuffò nella compagnia delle monache, che, per divertirla, la portavano nella cappella, a cui si arrivava dal refettorio attraverso
un lungo corridoio. Giocava appena durante le ricreazioni, afferrava bene il catechismo, ed era lei che rispondeva sempre alle domande difficili del vicario. Vivendo senza uscire mai dalla tiepida atmosfera della classe e fra quelle donne pallide, con i loro rosari dalla croce di ottone, ella si assopì pian piano nel languore mistico che esala dai profumi dell’altare, dalla frescura delle acquasantiere e dal luccicore dei ceri. Invece di seguire la messa, guardava nel suo libro le sante immagini listate d’azzurro; le piacevano la pecorella ammalata, il Sacro Cuore trafitto da frecce appuntite, o il povero Gesù, che cade portando la croce. Per mortificarsi cercò di rimanere un’intera giornata senza mangiare. Studiava dentro di sé qualche voto da compiere.”
(10)

Il ragazzo che ci aveva introdotto nel romanzo, il compagno di scuola del nuovo arrivato Charles Bovary, non potrebbe parlare di tali cose in questo modo.
Ma allora, perché Flaubert inizia quest’opera con un tipo di narratore, e nel giro di tre-quattro pagine lo sostituisce con un altro?
Credo si tratti di un errore, che però suscita in me, come lettore, una forte suggestione. L’inizio de La signora Bovary è simile ad altri incipit delle successive opere di Flaubert, dove la caratteristica principale è quella di immergere il lettore in un’azione in corso, stabilendo da subito un coinvolgimento emotivo. Per prima cosa viene specificato il luogo fisico dove l’azione di svolge, e dopo una descrizione più o meno lunga della scena fanno il loro ingresso i personaggi.
Questo ad esempio è l’inizio di Salambò, l’opera pubblicata successivamente a Madame Bovary, nel 1862:

“Era a Megara, sobborgo di Cartagine, nel giardino di Amilcare.
I soldati che lui aveva comandato in Sicilia festeggiavano l’anniversario della battaglia di Erice, ed essendo egli assente e loro numerosi, questi ultimi mangiavano e bevevano senza freni.”
(11)

Il lettore capisce subito che si tratta di un romanzo storico: Cartagine, Amilcare, battaglia di Erice, sono nomi che richiamano la Prima guerra punica. Inoltre, apprende che l’azione che si sta per svolgere sotto i suoi occhi si trova in un quartiere preciso di Cartagine, e intuisce, in tre righe,
un certo disordine.
Questo invece è l’inizio dell’opera successiva a Salambò, L’educazione sentimentale, pubblicata nel 1869 ma iniziata prima di Madame Bovary:

“Il 15 settembre 1840, verso le sei del mattino, la Ville-de-Montereau, attraccata alla banchina Saint-Bernard e pronta a partire, emetteva grandi sbuffate di vapore. Arrivava gente senza fiato. Barili, gomene, cesti di biancheria ostruivano il passaggio, i marinai non rispondevano a nessuno; le persone si urtavano; i bagagli venivano issati fra i due tamburi delle corde, e il frastuono veniva assorbito dal ronzio del vapore, che fuoriuscendo dalle lamiere avviluppava ogni cosa in una nuvola biancastra, mentre la campana di prua suonava continuamente.”
(12)

Cosa succederà ai piedi di questa nave, chi vi si imbarcherà? Non possiamo credere che qualcuno sbarchi, perché il Ville-de-Montereau è in partenza…
La frenesia che agita la banchina del molo è immediatamente contagiosa, non abbiamo il tempo di porci tante domande, dobbiamo continuare a leggere e vedere cosa succede.
Questo è l’incipit di Beuvard e Pécuchet, romanzo pubblicato postumo nel 1882.

“Poiché c’era un caldo da 33 gradi, il boulevard Bourdon era assolutamente deserto.
[Più giù il canale Saint-Martin, nel tratto fra le due chiuse, lasciava colare in linea retta la sua acqua color inchiostro. In mezzo, c’era un battello carico di legna, e sulla riva due file di botti. Oltre il canale, fra le case che separono i depositi, il grande cielo terso si tagliava in chiazze blu oltremare, e sotto il riverbero del sole le facciate bianche, i tetti d’ardesia, la banchina di granito, sfavillavano. Un rumore confuso saliva da lontano, nell’atmosfera tiepida, e ogni cosa sembrava intorpidita dall’ozio domenicale e la tristezza dei giorni d’estate.]
Apparvero due uomini.”
(13)

Ho messo tra parentesi quadre la descrizione del paesaggio per sottolineare
il forte impatto che Flaubert attribuisce all’incipit. Dopo aver
specificato il luogo dell’azione (il boulevard Bourdon) e l’atmosfera del
racconto (il caldo e la quiete della solitudine domenicale, così come in
Salambò prevaleva l’intemperanza delle truppe e ne L’educazione
sentimentale
la frenesia della partenza ), si materializzano due personaggi:
i protagonisti. Lo sappiamo perché prima di aprire il libro abbiamo letto
il titolo, e subito dopo Flaubert ce li presenta, nome, cognome e primi
indizi del loro carattere, ma il modo di farli apparire, letteralmente dal
nulla, li carica, agli occhi del lettore, di aspettative. Cosa succederà
a quei “due uomini”? Si tratta di un vero e proprio colpo di scena.
Credo che l’apertura de La signora Bovary risponda alle stesse esigenze
espresse da Flaubert nelle altre sue opere: catturare l’attenzione del lettore
avvicinandolo al soggetto dell’opera. La funzione del “noi” è quella di
trasmettere la sensazione di trovarsi di fronte non ad un’opera di finzione,
ma ad una testimonianza.
Mi spiego il cambio di narratore come una distrazione. In un primo tempo
Flaubert ha concepito la storia di Emma Bovary come il racconto di un testimone
non pienamente informato sui fatti, poi la storia è cambiata: se cambia
il punto di vista cambiano i fatti, semplicemente perché a seconda dello
sguardo alcune cose si possono sapere oppure no. Dopo aver cambiato sentiero,
però, Flaubert non si è accorto che nelle prime pagine era rimasta la vecchia
impronta, così il lettore si trova a inseguire delle tracce che a un certo
punto cambiano specie, come se il soggetto che stava seguendo fosse stato
colpito da una metamorfosi. Questa distrazione è resa possibile dall’atmosfera
di complicità e immediatezza che il “noi” instaura con il lettore, e siccome
era ciò a cui Flaubert tendeva, non si è accorto di dover adeguare lo strumento
con cui aveva ottenuto il risultato.
Ecco, ogni volta che leggo le prime pagine di questo romanzo io sono preso
da un senso di vertigine. È come se mi trovassi davanti all’attimo in cui
le cose possono essere una cosa ma pure un’altra. Filologicamente, ciò si
produce quando leggo che “tutta la classe si mise a ridere”. L’ho colto
fin dalla prima volta che ho letto il romanzo, e ogni volta che rileggo le prime quattro pagine
non posso fare a meno di sentire che Madame Bovary poteva essere
anche un altro romanzo.
Certo, parlando in maniera astratta, teorica, ogni cosa che si è realizzata
(fatto o opera d’arte) poteva essere diversa da quello che è, ma in questo
caso noi lettori abbiamo visto con i nostri occhi come sarebbe potuta diventare
l’altra Madame Bovary: Flaubert, suo malgrado, ci ha dato il modo
di intuirlo.

NOTE

(1)“Nous étions à l’Etude, quand le Proviseur entra suivi d’un nouveau habillé en bourgeois et d’un garçon de classe qui portait un grand pupitre. Ceux qui dormaient se réveillèrent, et chacun se leva comme surpris dans son travail.” (Madame Bovary : moeurs de province, Flaubert, édition de Thierry Laget, Gallimard, Paris,
coll. Folio, 2001, p. 47)
(2)“Le Proviseur nous fit signe de nous rasseoir ; puis, se tournant vers le maître d’études : — Monsieur Roger, lui dit-il à demi-voix, voici un élève que je vous recommande, il entre en cinquième. Si son travail et sa conduite sont méritoires, il passera dans les grands , où l’appelle son âge.” (ibidem)
(3) “Resté dans l’angle, derrière la porte, si bien qu’on l’apercevait à peine, le nouveau était un gars de la campagne, d’une quinzaine d’années environ, et plus haut de taille qu’aucun de nous tous.” (ibid.)
(4) “Nous avions l’habitude, en entrant en classe, de jeter nos casquettes par terre, afin d’avoir ensuite nos mains plus libres ; il fallait, dès le seuil de la porte, les lancer sous le banc, de façon à frapper contre la muraille en faisant beaucoup de poussière ; c’était là le genre.” (ivi p. 48)
(5) “Il se leva ; sa casquette tomba. Toute la classe se mit à rire.” (ibidem)
(6) “Un voisin la fit tomber d’un coup de coude, il la ramassa encore une fois.” (ibid.)
(7) “Il y eut un rire éclatant des écoliers qui décontenança le pauvre garçon, si bien qu’il ne savait s’il fallait garder sa casquette à la main, la laisser par terre ou la mettre sur sa tête.” (ivi p. 49)
(8) “Le soir, à l’Etude, il tira ses bouts de manches de son pupitre, mit en ordre ses petites affaires, régla soigneusement son papier. Nous le vîmes qui travaillait en conscience, cherchant tous les mots dans le dictionnaire et se donnant beaucoup de mal.” (ivi p. 50)
(9) “Il prit l’habitude du cabaret, avec la passion des dominos. S’enfermer chaque soir dans un sale appartement public, pour y taper sur des tables de marbre de petits os de mouton marqués de points noirs, lui semblait un acte précieux de sa liberté, qui le rehaussait d’estime vis-à-vis de lui-même. C’était comme l’initiation au monde, l’accès des plaisirs défendus ; et, en entrant, il posait la main sur le bouton de la porte avec une joie presque sensuelle. Alors, beaucoup de choses comprimées en lui, se dilatèrent ; il apprit par cœur des couplets qu’il chantait aux bienvenues, s’enthousiasma pour Béranger, sut faire du punch et connut enfin l’amour. ” (ivi p. 56)
(10) “Loin de s’ennuyer au couvent les premiers temps, elle se plut dans la société des bonnes sœurs, qui, pour l’amuser, la conduisaient dans la chapelle, où l’on pénétrait du réfectoire par un long corridor. Elle jouait fort peu durant les réréations, comprenait bien le catéchisme, et c’est elle qui répondait toujours à M.
le vicaire dans les questions difficiles. Vivant donc sans jamais sortir de la tiède atmosphère des classes et parmi ces femmes au teint blanc portant des chapelets à croix de cuivre, elle s’assoupit doucement à la langueur mystique qui s’exhale des parfums de l’autel, de la fraîcheur des bénitiers et du rayonnement des cierges. Au lieu de suivre la messe, elle regardait
dans son livre les vignettes pieuses bordées d’azur, et elle aimait la brebis malade, le Sacré-Cœur percé de flèches aiguës, ou le pauvre Jésus, qui tombe en marchant sur sa croix. Elle essaya, par mortification, de rester tout un jour sans manger. Elle cherchait dans sa tête quelque vœu à accomplir.” (ivi p. 85)
(11) “C’était à Mégara, faubourg de Carthage, dans les jardins d’Hamilcar.
Les soldats qu’il avait commandés en Sicile se donnaient un grand festin pour célébrer le jour anniversaire de la bataille d’Eryx, et comme le maître était absent et qu’ils se trouvaient nombreux, ils mangeaient et ils buvaient en pleine liberté. ” (l’ho preso da qui)
(12) “Le 15 septembre 1840, vers six heures du matin, la Ville-de-Montereau, près de partir, fumait à gros tourbillons devant le quai Saint-Bernard. ”
“Des gens arrivaient hors d’haleine ; des barriques, des câbles, des corbeilles de linge gênaient la circulation ; les matelots ne répondaient à personne ; on se heurtait ; les colis montaient entre les deux tambours, et le tapage s’absorbait dans le bruissement de la vapeur, qui, s’échappant par des plaques de tôle, enveloppait tout d’une nuée blanchâtre, tandis que la cloche, à l’avant, tintait sans discontinuer. ” (l’ho preso da qui)
(13) “Comme il faisait une chaleur de 33 degrés, le boulevard Bourdon se trouvait absolument désert. Plus bas le canal Saint-Martin, fermé par les deux écluses étalait en ligne droite son eau couleur d’encre. Il y avait au milieu, un bateau plein de bois, et sur la berge deux rangs de barriques. Au delà du canal, entre les maisons que séparent des chantiers le grand ciel pur se découpait en plaques d’outremer, et sous la réverbération du soleil, les façades blanches, les toits d’ardoises, les quais de granit éblouissaient. Une rumeur confuse montait du loin dans l’atmosphère tiède ; et tout semblait engourdi par le désoeuvrement du dimanche et la tristesse des jours d’été. Deux hommes parurent.” (l’ho preso da qui)

(le traduzioni sono mie)