Sergio Toppi, l’eternità dell’istante

Da bambino amavo i fumetti. Ho cominciato con quelli di Paperino, poi è venuto Tex. In seguito, fra i dieci e i dodici anni, ho scoperto quelli di Sergio Toppi. Li trovavo strani, di una stranezza buona, però, anche se non capivo cosa di preciso mi affascinasse. Crescendo è aumentato il mio amore per loro, perché sempre meglio comprendevo le ragioni della loro bellezza.

Sergio Toppi non è solo un abilissimo disegnatore e un esperto narratore, ma un vero artista, uno di quelli che mi ha insegnato che le regole possono essere sovvertite se l’idea che hai in testa lo esige. Se hai qualcosa di urgente da tirare fuori e questa cosa non riesce ad essere iscritta in quella che si considera la giusta cornice allora devi scardinarla. Lui l’ha fatto.

In realtà la cornice, quella grafica, è una delle prime cose che viene infranta, nelle tavole di Toppi. Quasi sempre almeno un elemento del quadro la forza. Questa qui sotto ad esempio è una sua tavola: il riverbero più alto del disco del sole, uno spicchio di masso, il bordo di un riquadro, un frammento del corpo del serpente, sono tutti elementi che debordano dal contenitore del racconto, come l’acqua dalla pentola quando bolle.

“Dimmi perché, Signore…“, da Sharaz-De, di Sergio Toppi, Edizioni Di, Castiglione del lago, 2005

Ma se la forzatura della cornice è una delle prime cose che notiamo, la prima in assoluto è la verticalità delle tavole di Sergio Toppi. Mentre i fumetti che avevo letto fino ad allora erano caratterizzati dalla sequenza orizzontale delle vignette, le storie di Toppi mescolavano il piano orizzontale e quello verticale, dando risalto a quest’ultimo.

L’orizzontalità è ciò che incarna, nel linguaggio del fumetto, lo scorrere del tempo. Nelle tavole di Sergio Toppi solitamente una didascalia introduce l’avvenimento e le immagini lo illustrano, ma per quanto i personaggi siano dotati di plasticità (li vediamo ad esempio mentre compiono azioni), appaiono colti in un momento di immobilità, come se fossero ritratti in una fotografia. A me ricordano i quadri del Rinascimento, dove le scene religiose rappresentano allo stesso modo gesti immobili (il braccio steso a indicare il grembo, la mano sul petto per esprimere stupore), come se l’attimo fosse congelato.

La tavola di Toppi riassume una situazione complessa attraverso due-tre immagini emblematiche. Queste immagini sono unite semanticamente fra loro da due elementi: il contrasto fra bianco e nero e la sovrapposizione delle scene. Più che di contrasto fra bianco e nero meglio parlare di opposizione fra vuoto e pieno. La pienezza non è data solo dal disegno di una forma, ma dal ricamo che la definisce. La sagoma di ogni elemento è finemente tratteggiata in un gioco di luci e ombre. Il bianco (quello di una luce accecante) dà ulteriore risalto alle forme che a loro volta non occupano uno spazio esclusivo ma si intersecano con gli elementi di altre scene. Ad esempio il turbante di una donna, e il suo tratteggio a linee curve, sfuma nelle rocce aspre di un paesaggio (lo scenario di un diverso momento del racconto), confondendosi con esso. In questo modo i personaggi e la scenografia dentro cui sono rappresentati sembrano sfuggire ad un prima e a un dopo, come se la storia ci fosse presentata per intera con un unico colpo d’occhio.

Ecco che allora i piani temporali confluiscono in un attimo del presente, dove ogni elemento, per la precisione e la cura con cui viene rappresentato, diventa una parte fondamentale del racconto. Gli oggetti (paesaggio, vestiario, armi, acconciature), non sono più un dettaglio bensì elementi degni della stessa importanza dei personaggi, e assieme ad essi incarnano l’attimo in cui l’universo si manifesta, in tutte le sue forme, al lettore. Toppi racconta non solo e non tanto attraverso il dipanarsi di una trama, ma giustapponendo una serie di istanti dove il presente esce fuori dal tempo, collocandosi nell’eternità. E’ la stessa emozione che io provo guardando le vecchie foto di mia madre, dove lei continua a guardarmi come se fosse ancora viva, perché è inserita in un presente (micidiale nella sua perfezione), che sfugge allo scorrere del tempo.

Assieme ai fumetti di Moebius, Toppi è stato il mio primo incontro con la letteratura del Novecento.