Sto ascoltando Il cantante al microfono di Eugenio Finardi, una raccolta di cover del cantautore sovietico Vladimir Vysotsky.
Mi incuriosisce, di Vysotsky, il fatto che si sia trovato ad essere un cantautore clandestino: la maggior parte della sua produzione era infatti affidata a registrazioni su musicassette, cassette che poi venivano doppiate e giravano l’Unione Sovietica con il passa-parola. Adesso che l’ho scritto, “doppiare”, mi è venuto in mente che non è più un verbo usato per indicare la duplicazione di una registrazione e infatti sul Dizionario Treccani online non l’ho trovato. Questa cosa aiuta a capire la distanza fra il mondo musicale in cui viveva Vysotsky e quello attuale, così veloce e interconnesso. In un certo senso c’è una certa somiglianza tecnologica fra la fortuna popolare di Vysotsky e Furch: il primo deve la sua popolarità a registratore a cassette il secondo alla stampa su linotype. In entrambi i casi si tratta di due tecnologie ormai datate: roba da museo.
Vysotsky mi ricorda il primo De Andrè (quello antecedente la PFM), sia per i testi esistenzialisti sia per la maniera di cantare. Le sue sono canzoni armonicamente semplici e le melodie monotone. Invece le versioni di Finardi sono vivaci. Non cambia la melodia, la abbellisce. In effetti ciò che mi incanta di questo disco è proprio l’interpretazione di Finardi: solo chi entra dentro una canzone può variarla senza tradirla e, se è bravo, arricchendola. Finardi è bravo. E questo disco una meraviglia. Anche i testi sono belli (non conoscendo il russo non posso sapere se chi li ha tradotti ha fatto un bel lavoro oppure no, però suonano davvero bene).
Sono arrivato al Cantante al microfono ascoltando per radio la canzone “Dal fronte non è più tornato”, ma in questi giorni quella che mi piace di più è questa: