Indigo Furch ha anticipato di quasi un decennio le inquietudini che troveranno una risposta nel “socialismo dal volto umano” di Aleksander Dubček, tuttavia la poetica anticonformista che caratterizza la sua produzione narrativa gli ha impedito per tutta la vita di essere preso in considerazione dal mondo editoriale. Anche ora, decenni dopo la caduta del muro di Berlino, nell’attuale Repubblica Ceca si tende a liquidare la figura di Furch come quella di un mero provocatore a cui si riconosce sì una certa lucidità di pensiero, ma gli si nega un benché minimo valore artistico bollandolo come “demenziale”.
Soffocato dal conformismo del mondo culturale, indissolubilmente legato all’apparato del regime filo-sovietico, Furch nel 1961 comincia a scrivere le brevi prose che nell’arco di un lustro daranno corpo al movimento del Nullismo. Secondo questo movimento, di cui egli è l’unico membro degno di menzione, non può esistere un rinnovamento della società se non attraverso la rottura del conformismo politico e culturale in cui è immersa la Cecoslovacchia.
Per Indigo Furch l’arte può suscitare un cambiamento nella vita quotidiana solo offrendosi come specchio della realtà. Se l’appiattimento delle aspirazioni dei cittadini cechi e slovacchi ai modelli proposti e diffusi dal regime portava a una mortificazione della natura umana, allora solo palesando con le sue opere quella mortificazione (“il nulla dell’esistenza”, come la chiamerà ne Il sole a mandorla), l’artista sarebbe stato in grado di scuotere gli animi.
Furch può essere considerato un writer ante litteram perché, grazie all’amico tipografo Miloš Fiala era in grado di appendere le sue composizioni ovunque gli capitasse: sottopassaggi e banchine delle stazioni, androni, ascensori, bagni pubblici, alberi e panchine, cassonetti dell’immondizia… Scriveva di situazioni potenzialmente ricche di sviluppi narrativi che però venivano abortiti sul nascere in ossequio al buon senso. Il suo messaggio tuttavia non venne mai compreso ed egli fu sempre bollato di inesperienza e dilettantismo.
Anche dal punto di vista professionale conobbe una mortificazione continua: laureato in elettrotecnica fu sempre un semplice operaio, finendo poi fulminato in un incidente sul lavoro. Il suo anticonformismo, per coerenza, gli impedì infatti di coltivare le amicizie giuste in grado di garantirgli il ruolo di progettista o ingegnere.
E’ proprio la coerenza di Indigo Furch a colpirmi, perché io non so se sarei in grado di adottarla. Ci vuole coraggio, per vivere come lui. Spero di averne abbastanza per non meritarmi di essere annoverato fra i destinatari delle sue composizioni, come questa (senza titolo):
Dicono che c’era un cacciatore, uno bravo, così tanto che il più delle volte con un solo tiro riusciva a falciare due prede. Non so se usasse il fucile o l’arco, o magari la fionda o la cerbottana, perché questo non me l’hanno detto, e quando è stato il momento a me non è venuto in mente di chiederlo. Adesso mi rendo conto che non so nemmeno quali fossero le sue prede (se uccelli o cervi), ma di sicuro era un cacciatore abilissimo. Chissà, magari era un cacciatore di uomini, o di idee, perché ne esistono. Comunque non è importante. Invece è importante sapere che lui cacciava sempre con un cane, il suo cane. E dicono che non fosse un cane normale, ma speciale come lui, anzi, forse addirittura di più.
Questo cane, che lo seguiva ovunque e in ogni momento del giorno e della notte come se fosse la sua ombra, aveva la capacità non solo di scovare le prede (sentimenti o elefanti che fossero), ma di confonderle, intralciando la loro fuga quando si accorgevano del pericolo. Non mi hanno detto come faceva, so solo questo. Comunque, se ci pensate, questo è notevole, per un cane.
Un giorno il cacciatore, sulle tracce di una preda assieme al suo cane, trovò per strada un uovo d’oro. Dicono che fosse piccolo, tipo di quaglia, ma pur sempre d’oro. Si trovava ai piedi di un albero e alzando lo sguardo il cacciatore scorse un nido. Se quello era un uovo d’oro, si disse il cacciatore, e lassù c’era un nido, allora dentro forse vi avrebbe potuto trovare l’uccello dalle uova d’oro. Si apprestò quindi ad arrampicarsi sull’albero ma il cane gli disse: “Fermo, non farlo. L’uccello dalle uova d’oro porta solo disgrazie”. Siccome il cacciatore sapeva che il suo cane era saggio gli diede retta e ripresero entrambi la loro strada. Dicono che andò proprio così.
(Non essendo mai stato pubblicato nulla di Indigo Furch la traduzione è mia. In realtà non conosco la lingua ceca, ma ho compensato la mia ignoranza con un misto di desiderio e volontà: fissando intensamente e molto a lungo le parole scritte ne ho colto il senso.)