Un paio di mesi fa Bande à part è andato in una pizzeria di Forlì con la sua sposa. Era mercoledì. Nella pizzeria napoletana, dove hanno mangiato una pizza molto buona, c’era una foto in bianco e nero appesa a una parete della piccola sala. Era una bella foto e Bande à part, che in questi casi cerca di offrire sempre la vista migliore a chi lo accompagna, ne è rimasto così colpito da volersi sedere lui di fronte ad essa.
La foto è un ritratto di un uomo che si asciuga una guancia e il mento con un asciugamano, come se si fosse appena rasato, non a caso alle sue spalle si scorge una porta con il vetro a buccia d’arancia che, nascondendo alla vista le forme precise senza tuttavia impedire il passaggio della luce, per questo è spesso usato nelle porte dei bagni.
La fotografia ha molti anni, è stata scattata nel 1948. L’uomo ritratto è famoso, è un attore che ha accompagnato l’infanzia di Bande à part, e il fascino che quella foto esercita su di lui risiede nel fatto che quell’attore, identificato dal suo pubblico con una maschera, in quel momento se l’è tolta.
La maschera che lui indossa sul palcoscenico o davanti la cinepresa non è di pelle (come quella di Pulcinella), o di stoffa (come quella di Zorro), è fatta invece di smorfie che amplificano le sensazioni provate dal personaggio che interpreta, quasi sempre comico. Tuttavia, anche quando recita parti drammatiche, il suo volto sottolinea le emozioni che il personaggio prova, come se per sua natura non le potesse celare all’interlocutore. Ecco, in quella fotografia del 1948 l’artista invece è stato colto fuori dal personaggio. E’ l’uomo quotidiano, l’attore prima di salire sul palco.
Cercando su internet altre immagini di quell’attore se ne troverà solo una che lo ritrae serio, ma si tratta di una posa, e quindi di un modo per comunicare un’immagine scelta di sé, mentre invece quello scatto del 1948 lo coglie spogliato da qualsiasi filtro.
Bande à part immagina che il fotografo si trovasse lì nel bagno con quell’uomo, e mentre questi armeggiava con pennello e rasoio egli tenesse la sua macchina in mano, pronto a scattare. Quindi dovevano essere amici, o comunque molto in confidenza, pensa Bande à part.
Il soggetto dello scatto indossa una vestaglia da camera, ma questo Bande à part lo aveva colto in un secondo momento (e solo in un terzo momento avrebbe notato il particolare del vetro a buccia d’arancia), tanta era stata la sua sorpresa di trovarsi di fronte a quel volto noto senza più maschera. Il viso nudo.
La moglie di Bande à part si era stupita molto che lui non avesse mai visto prima quella fotografia. “Ma è famosissima!”, aveva esclamato. Invece lui non la conosceva, e neppure noi, del resto.
Però se Bande à part ci ha raccontato questa storia non è stato per il fascino suscitato in lui dalla vista del volto senza maschera, bensì per un pensiero che questa esperienza ha messo in moto nella sua mente. Si è ricordato di un brano di José Cardoso Pires, tratto da Valsa Lenta, dove l’autore racconta il suo percorso di recupero dopo essere stato colpito da un ictus. Fra le cose strane che gli capitavano c’era quella di trovare estraneo e addirittura brutto il suo nome, José. A tal proposito Cardoso Pires racconta di essere rimasto sorpreso di scoprire lo stesso giudizio in un film di Wim Wenders, Lisbon Story.
Il protagonista del film, un tecnico del suono tedesco che si trova nella capitale portoghese per lavoro, incontra un ragazzino e gli chiede come si chiama. “José”, risponde il ragazzino, pronunciando questo nome con la pronuncia portoghese (molto diversa da quella generalmente più nota in lingua spagnola), e il tecnico del suono commenta: “Che brutto nome”. Chissà se davvero Rüdiger Vogler ha detto “brutto” e non “strano”, ma in fondo il significato non cambia: la frase rivela la sorpresa per qualcosa che non si conosce.
Bande à part non crede che Cardoso Pires volesse insinuare maliziosamente che pure il cervello di Wenders fosse compromesso da un ictus, tuttavia lo scrittore portoghese non ha tralasciato di notare che non si può conoscere qualcosa solo dall’esteriorità, in questo caso quella del suono: se non si tiene conto della storia che si cela dietro un nome non lo si può comprendere. Cardoso Pires parla di suoni assenti di memoria.
Così Bande à part, guardando quella foto, ha cominciato a pensare che se lui la trovava affascinante era perché sapeva chi era quell’uomo ritratto. Aveva visto numerosi film da lui interpretati, imparando alla perfezione la natura della maschera che indossava. Invece se uno spettatore di un altro Paese, o semplicemente molto più giovane di lui, si trovasse di fronte alla stessa fotografia, non proverebbe nessuna sorpresa. Vi vedrebbe solo il bel ritratto di un uomo comune che si asciuga il mento, probabilmente dopo essersi fatto la barba. Se l’occhio dello spettatore fosse allenato potrebbe cogliere molti altri messaggi (l’epoca, la classe sociale, il luogo…), però non potrebbe riconoscervi l’attore senza maschera. Sarebbe uno spettatore senza memoria.
E allora Bande à part ha pensato il pensiero che alla fine ci ha confidato: anche lui è uno spettatore senza memoria. Certo è in grado di contestualizzare molte cose, in certi casi moltissime, ma non la maggior parte delle cose del mondo. E così, guardando quella foto piena di significato che lui poteva interpretare ha cominciato a pensare che molte di più ne aveva viste e ne vedrà senza capirle. Peggio: senza nemmeno sapere di non poterle capire. Allora si è sentito molto vicino a quegli ignoranti che ascoltando il suono di José (Ʒu’zɛ) lo trovano brutto, o strano.
Però la pizza, Bande à part ci tiene a ribadirlo, era molto, molto buona.