Quattro

I due modelli letterari di cui parlavo nella chiusura dell’articolo su Lars Gustafsson non sono esercizi di stile, ma strumenti necessari per dire cose che altrimenti non potrebbero essere espresse. Si può parlare del senso di frustrazione (l’Erostato di Sartre), o materializzarlo (La vita breve di Onetti). Nel primo caso il lettore ascolta un racconto su quel tema, osservando un personaggio che soffre per il suo mancato appagamento, nel secondo vi precipita dentro: viene a meno lo spazio fra gli occhi e la pagina, e lui finisce coinvolto nella materializzazione di uno stato psichico che altrove è solo un argomento narrativo.

Questi due stili non sono in competizione fra loro, ma complementari.

Abbiamo bisogno, noi lettori, sia di contemplare una storia emotivamente coinvolgente senza perdere la consapevolezza di stare leggendo una finzione, sia di smarrirci nel testo come se fosse un labirinto. Io mi entusiasmo leggendo i racconti e i romanzi di Michail Bulgakov allo steso modo con cui mi appassiono leggendo i racconti e i romanzi di Cees Nooteboom.

Un giorno mi è venuto in mente di scrivere un romanzo che per tema avesse i tempi morti della vita, quelle situazioni meccaniche che ripetiamo senza prestarvi attenzione, riempiendole con i nostri pensieri.

Se fossi un autore che predilige il modello narrativo avrei presentato uno o più personaggi descrivendo quegli istanti. Ma se invece avessi voluto materializzare quegli attimi avrei dovuto scrivere in maniera differente, rendendo palpabile come la nostra vita ci scorra addosso senza che noi ce ne accorgiamo.

Così, nel 2007, è nato il romanzo Quattro.

Quando gli ho fatto fare un giro le impressioni che ha raccolto erano identiche: l’autore era bravo a scrivere ma incapace di articolare in maniera matura una storia. Mi sono sentito come un pittore astratto giudicato secondo canoni realistici. Sentimento che ho continuato a provare con tutte le opere che ho composto in seguito.

Quattro anni fa, a cinquant’anni, non ho più sentito il bisogno di esser pubblicato. Non c’è un corso per arrivare a questo stato di rassegnazione, o di pace, semplicemente lo raggiungi oppure no. Ho avuto fortuna. Perché ho continuato a scrivere più liberamente di prima, e ad approfondire la mia poetica. Ovviamente potrei essere come quei musicisti di strada che, accanto a quelli dotati, suonano con un tocco sporco, o cantano in maniera sottilmente stonata: sono fondamentalmente dei brocchi e non lo sanno, anzi, si credono pure bravi. Così quando li ascoltiamo noi, che siamo esseri sensibili, proviamo un doloroso imbarazzo nei loro confronti.

Comunque sia, questa è la prima parte di Quattro:

(La versione intera e cartacea la trovate qui)