PERRAMUS

Inizia con due inquadrature rettangolari strette, che incorniciano la luna piena in un cielo con due nuvole enormi. Le nuvole non la coprono, solo nella prima un leggero alone offusca appena il quarto sinistro superiore della luna, e nella seconda le due nuvole si sono scomposte. Sono sempre le stesse; probabilmente, pensiamo, lassù ci dev’essere il vento. Anche se la luna ci viene presentata ad altezze diverse non pensiamo che sia passato molto tempo (il tempo necessario alla luna per correre di qualche grado in alto), bensì che sia stato l’occhio di chi la guarda ad essersi spostato. Nelle vignette successive scopriremo che nessun personaggio le sta osservando, quindi è l’occhio del narratore ad aver cambiato, da una vignetta all’altra, l’inquadratura del suo sguardo. Non si tratta di una zumata, perché la luna ha sempre le stesse dimensioni, ma di un movimento degli occhi.

Poi una vignetta più grande ci mostra lo scorcio di un villaggio immerso in una notte di luna piena. La luna infatti c’è sempre, sempre di fronte a noi, ma è più piccola, come se chi guarda fosse sceso in terra. In fondo si scorge, oltre alla luna e le nuvole spesse illuminate ai bordi dal chiarore della sua luce, il profilo di una montagna, o di una collina, e più vicino scorgiamo due auto che si apprestano a imboccare la curva di una strada. Una la vediamo per intera, della seconda scorgiamo solo il muso. La posizione e la differenza di dimensioni ci suggeriscono che le due auto siano in movimento, stanno quindi per imboccare la strada su cui si affacciano degli edifici bassi, delle abitazioni modeste.

L’albero che si staglia con la sua chioma per oltre la metà della vignetta ci spinge a pensare che si tratti di un villaggio, o del quartiere periferico di una città. Anche la strada ci appare povera, sembra un terreno sterrato, infatti alcuni rilievi sono in ombra, altri illuminati dalla luna.

C’è un difetto in questa inquadratura, la direzione della luce, che è irreale: l’edificio che definisce il lato sinistro della vignetta non potrebbe essere colpito dalla luce della luna in quella posizione (poiché essa si trova alle sue spalle), eppure questa vignetta non possiamo fare a meno di trovarla perfetta. Proprio l’incongruenza dell’angolazione della luce ci aiuta a capire che il paesaggio che stiamo osservando non appartiene al mondo reale, ma si staglia dentro una dimensione onirica. Nella parte inferiore sinistra della vignetta c’è una sagoma irregolare: forse è una lamiera, forse una tenda mossa dal vento. Non l’abbiamo mai capito.

La quarta vignetta ci mostra l’interno di un’auto, e noi diamo per scontato che si tratti della prima, quella più vicina a chi guarda. Dentro ci sono quattro militari, lo capiamo dai cappelli con la visiera e dal teschio apposto sulla tesa, che ci fanno subito pensare alle SS naziste. Anche la canna di un fucile mitragliatore e i guanti indossati dal conducente ci confermano l’opinione che siano militari. Più precisamente uno squadrone della morte, perché il loro volto è un teschio, l’eco maggiore di quello che portano sopra la fronte. Pensiamo subito all’Argentina degli anni ’70. Probabilmente perché la prima volta che abbiamo letto questo fumetto è stato alla fine degli anni ’80 e ciò che sapevamo della nostra epoca ci ha guidato nella decifrazione di ciò che stavamo leggendo.

Nella quinta vignetta vediamo le due auto parcheggiate e cinque figure di militari che si apprestano ad entrare in un edificio che sorge accanto a uno sperone roccioso. Forse le figure sono sei, ma di quella al centro non riusciamo a capire se sia umana o la portiera aperta di un’auto.

Poi di nuovo troviamo due vignette strette, una nera, l’altra con dei bagliori di luce nel buio che descrivono sagome indistinte e il suono tipico dei passi nei fumetti: “Tap, Tap”.

Questa volta, ma lo capiremo solo nelle vignette successive, non stiamo osservando il punto di vista di un narratore impersonale, bensì la coscienza di un personaggio, il protagonista della storia. Infatti le ultime due vignette della prima tavola di questo fumetto ci mostrano lui che si sveglia di soprassalto. “Cos’è stato?”, si chiede. E poi, una volta che si affaccia alla finestra per guardare di fuori, dentro di sé esclama: “Mi hanno trovato!”

L’ultima vignetta si chiude ancora con la luna e con il vento che muove la tendina, quindi sì, ci diciamo ripensando alle prime due immagini, quella è una notte di luna piena e di vento, anche qui sulla terra.

La tavola che abbiamo descritto, e che ora vi mostriamo per intero, è la prima di Perramus, un fumetto scritto da Juan Sasturian e disegnato da Alberto Breccia.

Perramus è la storia di un vigliacco in cerca di redenzione. Un vigliacco, perché quando il protagonista si accorge che due squadroni della morte stanno per entrare nel nascondiglio dove lui e i suoi compagni si sono rifugiati scappa senza avvertirli: se lo avesse fatto sarebbe incorso nel rischio di attirare l’attenzione dei militari. Questo particolare, il panico che mette alla prova una persona, è una delle trovate migliori della storia, perché la rende realistica, e il personaggio ancora più credibile. Ma, come dicevamo, Perramus non è pervaso dal realismo, bensì da tratti onirici: ciò che accade è lo specchio di qualcos’altro e la cifra espressiva del racconto è la metafora. Basta continuare a leggere poche altre tavole per rendersene conto.

Il protagonista in fuga finisce in una locanda vicino a un porto. E’ abbattuto dalla sua colpa e in quel momento una ruffiana lo abborda invitandolo ad annegare l’angoscia passando la notte con una delle sue ragazze: Maria, il piacere; Rosa, la fortuna; e Margarita, l’oblio. Il personaggio sceglierà Margarita proprio perché ciò che lui più desidera è dimenticare. Al suo risveglio, la mattina seguente, non ricorderà nulla. Nemmeno il suo nome. Da quel momento sarà Perramus, la marca del suo impermeabile che si legge sull’etichetta cucita sulla fodera interna.

E’ un incipit che sia io che Bande à part troviamo perfetto e bellissimo. La storia, o meglio, la trama, finisce però di affascinarci qui, perché la troviamo ingenua, volutamente poetica. Parlandone abbiamo scoperto che entrambi le imputiamo gli stessi difetti che noi cogliamo in un’opera di uno scrittore che amiamo e stimiamo: Fantomas contro i vampiri multinazionali, di Julio Cortàzar. Per entrambi, quell’opera è un’eccezione alla sua genialità. Trovandosi a denunciare le cause delle condizioni malate dell’America latina esprime una tesi troppo semplice, com’è tipico di un manifesto, abbandonando la complessità e le stratificazioni di pensiero che caratterizzano i suoi lavori.

Ma se la trama di Perramus smette velocemente di piacerci, non viene mai a meno il fascino della sua storia. Sembrerebbe un controsenso, eppure è così, per un motivo molto semplice. Ciò che per me e il mio amico fa di Perramus un’opera magnifica sono infatti le illustrazioni di Alberto Breccia. Se il testo ci appare poco convincente nondimeno le illustrazioni di Breccia hanno la capacità di trasmettere vividamente la realtà allucinata del mondo di Perramus. Ed è questa realtà allucinata che, almeno per noi, è il testo di Perramus. Il suo senso.

Alberto Breccia cura ogni vignetta magistralmente. Nella tavola che abbiamo appena visto è in grado di trasmetterci l’idea dei cumulonembi e dei cirri, dell’intonaco grezzo degli edifici e delle assi di legno, dello sterrato della strada e del tessuto della tendina. Ci trasmette l’atmosfera onirica e metaforica del racconto, dove la realtà appare costantemente sfocata, scomposta com’è in granuli di luce e ombre. E questo solo con due colori, il bianco e il nero. Continuando a guardare le tavole successive scopriremo frammenti di una libreria con una cornice finemente cesellata e carta da parati realisticamente disegnata accanto a sfondi sfocati, figure non dettagliate dai movimenti però precisi. Le sue vignette sono disegnate spesso con acquerelli e, ci sembra di capire, addirittura con collage. Abbiamo trovato una conferma a questa nostra ultima impressione in questo articolo, di Pasquale Frisenda, un altro bravo disegnatore.

Parlando di Perramus con Bande à part ho scoperto che per entrambi la sua lettura, avvenuta durante la nostra adolescenza, ha rappresentato una sorta di grammatica dell’immaginazione. Ci ha mostrato come i limiti di uno strumento possono essere dilatati.

Abbiamo avuto bisogno di rileggerlo nell’edizione integrale del 2018 per i tipi di 001 Edizioni per renderci conto di quanto l’immaginario di Breccia avesse modellato il nostro.