ANDRES SEGOVIA: UNA LEZIONE DA DIMENTICARE

In questo video presumibilmente degli anni ’80 si vede il famoso chitarrista e arrangiatore Andrés Segovia esaminare un giovane chitarrista, allora sconosciuto, Michael Chapdelaine, ora interprete e compositore, uno dei musicisti prodotti dalla Candirat Records di Don Ross.

Segovia tratta in maniera vergognosa Chapdelaine. A parte l’emozione di un esordiente di fronte a un maestro acclamato, la sua esecuzione non merita un trattamento simile, ma Segovia si irrita perché Chapdelaine ha avuto il coraggio (ai suoi occhi probabilmente la “presunzione”) di tradire la diteggiatura della sua trascrizione per usarne una a lui più comoda. Una prima volta infatti il maestro spagnolo interrompe il chitarrista californiano interrogandolo proprio sulla diteggiatura (“Why do you modified my transcription?”), poi per dirgli che sta eseguendo il pezzo senza rendere i segni di portamento che lui aveva annotato (“The guitarra is not a dry instrument!”), e infine lo caccia dallo studio: “Senti, se vuoi suonare la mia trascrizione come pare a te valla a suonare donde la trovano migliore della mia!”

Ai miei occhi Segovia fa una pessima figura (un maestro non può umiliare un allievo), ma non è tanto di un confronto fra i due che voglio parlare, quanto di una considerazione che il video mi suggerisce indirettamente, ovvero come è cambiato il ruolo degli esecutori del repertorio classico dopo l’avvento e soprattutto la diffusione del grammofono.

Per tornare al video, la diteggiatura è una cosa importante nell’esecuzione: suonare una nota a corda vuota o premuta su un tasto, o su una corda invece di un’altra, conferisce un tocco diverso all’esecuzione, e l’interpretazione è legata anche a queste finezze. Ciò che infatti guida l’interpretazione è l’approccio filologico all’opera. L’esecutore ha la responsabilità di riproporre al pubblico un’opera che appartiene al passato e che solo lui può far resuscitare, perché in questo caso Tárrega (l’autore del pezzo suonato da Chapdelaine) è morto, e non esistono registrazioni della sua opera: non sappiamo quindi come la suonava lui (tra l’altro, è un pezzo per pianoforte). Conosciamo però i canoni espressivi dell’epoca, ed è per questo che fino alla fine della nostra civiltà sarà sensato che sempre nuovi interpreti si cimentino con una musica altrimenti perduta: ognuno di essi darà una sua interpretazione filologica della musica che esegue, e la sua importanza sarà maggiore nella stessa misura in cui il suo lavoro sarà considerato accurato, o addirittura innovativo. L’esecutore è uno storico della musica.

Ecco perché due versioni così diverse ad esempio della stessa opera lirica hanno ragione di esistere: ci propongono una lettura del passato diversa, una sua diversa interpretazione. Prendete il duetto Che soave zeffiretto, da “Le nozze di Figaro”. Il tempo indicato sullo spartito è un “allegretto”, ma… a che tacca del metronomo corrisponde? Se cerchiamo su Wikipedia troviamo questa indicazione:

Allegretto — piuttosto veloce o moderatamente veloce, un po’ gioioso, piuttosto animato e piuttosto vivo, meno veloce di allegro, fra allegro e moderato (o 98–109 bpm)” (https://it.wikipedia.org/wiki/Tempo_(musica))

Se suono a 98 battiti per minuto o a 109, o magari 100, o 104 il pezzo cambia. Cambia molto. A “quanto andava” Mozart? Non lo sappiamo. Ecco perché nella versione di un direttore di orchestra troviamo una velocità diversa da quella adottata da un altro. Ed ecco perché ci sarà sempre un direttore d’orchestra che affronterà a modo suo un’opera di Mozart: la interpreterà, fornirà cioè la sua interpretazione di come quella musica si suoni.

L’avvento del grammofono, cioè della possibilità di registrare il suono su un supporto fisico che ne permette la riproduzione, ha cambiato tutto ciò. Se conosco John Renbourn e apprezzo la sua musica, come chitarrista la suono per imparare qualcosa, per migliorarmi, ma come concertista non ha senso che io riproduca i suoi pezzi, il pubblico può attingerli direttamente alla fonte: i suoi dischi. Può sentirli eseguiti dal vivo su YouTube da John Renbourn stesso. Perché dovrebbe ascoltarli da un altro chitarrista che li suona? Meno che mai comprerà un disco di suoi pezzi suonati da qualcun altro.

Il discorso è diverso per quei compositori che hanno scritto, e scriveranno, musica senza interpretarla, come Villa-Lobos o Castelnuovo-Tedesco: per essi vige ancora l’approccio filologico. Non sapendo come suoni la loro musica nella loro mente, siamo spinti a riprodurla interpretandola.

In realtà il fatto di conoscere l’interpretazione dell’autore non ci impedisce di volere interpretare la sua musica, ne cambia però l’approccio. Non sarà più quello filologico, ma quello che nella mia testa chiamo “dialogico”. Se la musica è un paesaggio dipinto, non ci sarà più il pittore copista che riprodurrà il quadro di un museo per farlo vedere a chi in quel museo non ci può andare, bensì il pittore che contempla il paesaggio nel quadro e lo replica con variazioni. Il pittore cioè mostra al pubblico le sue suggestioni del paesaggio contemplato.

Uno dei brani più suonati fra i chitarristi acustici è Anji, di Davey Graham. Nessuno la suona così come l’ha scritta lui. Dopo l’esempio di Bert Jansh, che l’ha arricchita con un assolo, ognuno la suona mettendoci qualcosa di suo (a dire la verità, tutti l’abbiamo imparata direttamente nella versione di Jansh). Non si tratta di orpelli cuciti su un vestito, ma di un dialogo con l’autore: “La tua musica mi ha fatto pensare a queste variazioni”.

Un’ultima cosa a proposito della lezione di Segovia a Chapdelaine. Nel Novecento possiamo annoverare molti autori di musiche per chitarra. Fra essi Segovia occupa un posto pressoché trascurabile. Lui non è un compositore ma un’interprete di musiche di altri.  L’apporto alla musica per chitarra di Chapdelaine è più coraggioso di quello di Segovia: lui espone al giudizio del pubblico la sua musica, non l’interpretazione di quella di un altro, e visto che l’avvento della musica registrata ha cambiato i canoni dell’interpretazione, ci saranno sempre più musicisti-compositori che interpreti. Il futuro appartiene ai Chapdelaine.