ROBBE-GRILLET: UN LABIRINTO DI RELAZIONI

A destra, vengono, nell’ordine, la manica corta della camicia cachi, la brocca indigena panciuta, in terra cotta, che segna il centro del buffet, quindi, poste al bordo del tavolo, le due lampade a petrolio, spente, allineate una di fianco all’altra contro il muro; più a destra ancora l’angolo della stanza, subito seguito dal battente aperto della prima finestra. (1)

Il narratore sta descrivendo la camicia di un uomo, più precisamente il taschino, da cui spunta una lettera, scritta probabilmente dalla donna a tavola con lui. Forse i due personaggi sono amanti, ma noi non lo sappiamo, non lo sapremo nemmeno dopo aver finito il libro. Di fatto, poche righe prima, la mano dell’uomo si era avvicinata al taschino e aveva cercato, con un gesto meccanico, di spingere ancora più in dentro la lettera azzurrina, che sporgeva per un centimetro buono dal bordo (2). Poi l’attenzione dal taschino è scivolata sugli oggetti che si trovano, alla sua altezza, nella stanza, come se venissero colti da uno sguardo circolare, verso destra.

Ricapitolando: un uomo e una donna, sposati, ma non fra loro, sono a tavola, dalla tasca di lui spunta una lettera scritta da lei, noi lettori non abbiamo visto – né lo vedremo in futuro, in questo romanzo costruito attraverso un succedersi di flash-back, il passaggio del biglietto da lei a lui. Si tratta de La jalousie (“La Gelosia”), di Alain Robbe-Grillet, Les èdition de minuit, Parigi, 1957.

La Jalousie, Alain Robbe-Grillet
La Jalousie, Alain Robbe-Grillet

Noi lettori non sapremo nemmeno se è importante o no, il biglietto, se contiene solo una lista della spesa o un appunto per il viaggio imminente che i due hanno in programma, o se è una lettera d’amore e fra loro, come potrebbe far supporre il titolo del romanzo, La gelosia, sta nascendo una relazione. La cosa importante è che, dopo aver creato l’attesa nei confronti del biglietto (a più riprese ci è stata mostrata la donna mentre lo scriveva, mentre si accingeva a scriverlo…), e quando scorgendolo nella tasca dell’uomo pensiamo di aver trovato una chiave per interpretare il legame fra i due personaggi, l’autore svia la nostra attenzione sugli oggetti: il taschino della camicia, la stoffa, il bottone, e poi tutte le cose che si trovano nella stanza, sempre più lontane dal biglietto, e dai due seduti a tavola.

All’interno del romanzo ci troviamo di fronte ad oggetti descritti come personaggi. Non costituiscono la scenografia di avvenimenti più importanti, quelli degli umani, ma acquisiscono una presenza scenica pari alla loro: non si fanno assimilare, creano un mondo muto, mettendo in risalto la relazione che l’uomo stabilisce con essi. Edifici, cortili, strade e pareti, soprammobili, pilastri di sostegno e zoccoli del pavimento, lampioni, finestre, corridoi e paesaggi, la loro estraneità alle vicende umane finisce per rappresentare uno sfondo tutt’altro che inerte. Gli oggetti si impongono alla coscienza del lettore, vivono di vita propria. L’impressione che se ne ricava è che l’esistenza degli uomini debba fare i conti con il mondo che la ospita. Il risultato, è la rappresentazione di personaggi all’interno di un labirinto di relazioni fra essi e le cose del mondo.

Avevo parlato di labirinto nel capitolo dedicato a Paul Auster, ma nel suo caso a smarrirsi è il lettore posto di fronte al possibile tradimento della scrittura, non gli stessi personaggi, che al contrario compiono una serie di azioni chiare e inequivocabili. Sappiamo sempre cosa stanno facendo e pensando: la trama è limpida e logica. Nel caso di Robbe-Grillet invece sono un labirinto le relazioni stesse fra i personaggi. Non sappiamo bene chi siano, possiamo solo intuirlo, nessuno di loro è una figura chiara, né tanto meno è chiaro il rapporto che li lega. Non li sentiamo parlare direttamente, ciò che dicono viene riassunto dal narratore, ma sempre in maniera ipotetica: forse, lui ha detto questa cosa a lei.

Vediamo i personaggi muoversi come individui gettati in un mondo sconosciuto, un labirinto di cose e persone, dove tutto può essere un punto di riferimento falso, o autentico. Riusciranno a trovare l’uscita? Non è importante, ciò che conta è concentrarsi sul carattere enigmatico del mondo e della gente che ci vive dentro. La realtà è enigmatica, anzi, problematica.

Quando Robbe-Grillet scrive, lo fa dopo la Seconda guerra mondiale – lui, così come gli altri scrittori che si inseriscono nella cosiddetta “école du regarde” (vedi: nouveau roman).

La sua scrittura non può prescindere dal dolore che la guerra ha portato con sé: morti, distruzioni. Non riesce a parlare di un universo composto, chiaro, mette l’accento su come le coordinate per orientarsi nel mondo siano labili, sfocate, nulla può essere dato per scontato, oggetti e persone.

Non assistiamo, noi lettori, a un’azione compiuta, ma frammentaria, il narratore ci presenta i pezzi sparsi nel tempo di qualcosa che è successo. Questo stile introduce un’atmosfera poliziesca, funzionale a rendere il senso di una realtà mai data, bensì sempre sfuggente, la cui ricostruzione richiede un’inchiesta, una ricerca, uno sforzo, e alla fine…

queste ripetizioni, queste infime varianti, queste interruzioni, questi sguardi all’indietro, possono dare luogo a modificazioni – pure se appena percettibili – portando, alla lunga, molto lontano dal punto di partenza. (3)

Al senso del testo, il lettore viene avvicinato faticosamente, spingendolo a guardare come attraverso la gelosia della finestra un paesaggio rigato dalle colonne di una ringhiera: la porzione che si offre allo sguardo è ridotta, Robbe-Grillet dice a 1/9 di ciò che realmente dovremmo poter vedere:

Invece di servire il ghiaccio, lei continua a guardare verso la valle. Della terra del giardino, frammentata in porzioni verticali dalla balaustra, poi in porzioni orizzontali dalle gelosie, non rimangono che piccoli quadrati rappresentanti una parte piccolissima della superficie totale – forse, un terzo del terzo. (4)

La gelosia, ci viene suggerito dal brano appena letto, potrebbe non essere il sentimento, ma un oggetto, lo scuro della finestra. Non è un caso che il titolo stesso dell’opera, nella sua polisemia, sia fuorviante: il senso delle cose non viene mai dato, ma solo suggerito, trovarlo è una ricerca.

La forma del romanzo proposta da Robbe-Grillet ha una carica rivoluzionaria: la vittima, comune a tutti i grandi rivolgimenti (magari conseguenti a un regicidio), è il romanzo affabulatorio. Non si tratta del venire a meno dell’introspezione psicologica, come si dice spesso quando si parla del nouveau roman, ma di esprimere l’impossibilità di poter padroneggiare il significato di qualcosa.

Sparisce, con la trama, l’idea che lo scrittore riesca a descrivere una cosa nella sua interezza. Dal mio punto di vista, questa è una posizione complementare ai romanzi introspettivi, non antagonista. Penso a due titoli che amo, pubblicati l’uno vent’anni prima de La gelosia, l’altro quarant’anni dopo: Al faro di Virginia Woolf (1929) e Recita estiva di Christa Wolf (1989). Le tre opere sono accomunate dal rifiuto di poter parlare con sicurezza di un fatto, descrivendo un universo sfuggente, in cui il lettore, come in un labirinto, deve sapersi orientare.

Ci troviamo di fronte a un modo di scrivere che chiama in causa la responsabilità della scrittura, passando attraverso la presa d’atto che scrivere di una cosa significa sempre tradirla, perché nulla può essere riportato oggettivamente.

Questa, è una posizione antitetica a quella di opere oneste e appassionate che invece danno l’illusione al lettore di penetrare intimamente il mondo di cui si parla: penso, per esempio, a Il vecchio e il mare di Hemingway (1952), o a Dona Flor e i suoi due mariti di Amado (1966)…, opere che pur se metaforiche o surreali, concepiscono la scrittura come un mezzo privo di distorsioni.

Gli sguardi della Woolf e della Wolf si concentrano sulla difficoltà di padroneggiare, tramite l’idea di un tempo refrattario a una classificazione cronologica, le azioni e le relazione dei personaggi; quello di Robbe-Grillet si appunta sullo stesso strumento con cui lo scrittore parla: la scrittura.

Mi piace, questo sguardo.

NOTE

(1) “A droite, viennent, dans l’ordre, la manche courte de la chemise kaki, la cruche indigène ventrue, en terre cuite, qui marque le milieu du buffet, puis, posées au buot de celui-ci, le deux lampes à gaz d’essence, éteintes, rangées côte à côte contre le mur; plus à droite encore l’angle de la pièce, suivi de près par le battant ouvert de la première fenêtre.” (pp. 114-115)

(2) “… La main brune, après avoir erré un istant aux alentours, remonte soudain jusqu’à la pochette de la chemise, où elle tente à nouveau, d’un mouvement machinal, de faire entrar plus à fond la lettre blue pâle, pliée en huit, qui dépasse d’un bon centimètre.” (p. 114)

(3) “Cependant ces répétitions, ces infimes variantes, ces coupure, ces retours en arrière, peuvent donner lieu à des modifications – bien qu’à peine sensibles – entrînant à la longue fort loin du point de départ.” (p. 101)

(4) “Au lieu de servir la glace, elle continue à regarder vers la vallée. De la terre du jardin, fragmentée en tranches verticales par la balaustrade, puis en tranche horizontales par les jalousies, il ne reste que de petits carrés représentants une part très faible de la surface totale – peut-être le tiers du tiers.” (p. 52)

(le traduzioni dei brani sono mie)

VIDEO: una conferenza tenuta da Robbe-Grillet all’Università di San Francisco nell’aprile del 1989.

parte 3; parte 4; parte 5; parte 6; parte 7; parte 8; parte 9; parte 10.

2 Risposte a “ROBBE-GRILLET: UN LABIRINTO DI RELAZIONI”

    1. eh, altrimenti non ne parlavo! Prova a leggerlo, magari “Dentro al labirinto” (o “Nel labirinto”, non mi ricordo come è stato tradotto)

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