L’OLOCAUSTO DI OESTERHELD

Per me inizia così: è sera, quattro amici stanno giocando a carte nella soffitta di uno di loro, che vince una mano dietro l’altra. Si trovano nella periferia di Buenos Aires, fuori è inverno e fa freddo. Dalla finestra chiusa giungono la frenata di un autobus, i passi affrettati di una giovane coppia, il suono di qualche auto che si allontana. Uno dei tre amici che sta perdendo a carte si irrita per la fortuna del padrone di casa, e quando dalla strada giunge il cozzo di un incidente insiste perché si continui a giocare, senza distrarsi per un banale tamponamento. I quattro proseguono la partita, poi va via la luce e allora si rendono conto che c’è qualcosa di strano: il silenzio. Si affacciano alla finestra e vedono la neve.

disegno di Francisco Solano López
disegno di Francisco Solano López

Per me inizia così, in realtà la storia comincia in un altro modo, ma per me inizia da questo punto. Una serata tranquilla, quattro amici che si attardano a giocare a carte, la neve. Ancora non lo sappiamo, perché il fumetto è in bianco e nero, ma i fiocchi sono fosforescenti e azzurrini, ce lo dice quasi subito una didascalia. La vita dei quattro, e di Buenos Aires, e di tutto il mondo, non sarà più la stessa.

Se leggendo queste righe non avete capito di cosa sto parlando, siete fortunati: dovete ancora scoprire L’Eternauta. È una storia a fumetti, un racconto di fantascienza scritto da Héctor Germán Oesterheld nel 1957 la prima parte, e nel 1976 la seconda, e disegnato da Francisco Solano López. L’Eternauta è un classico della fantascienza, io però più per la trama e le trovate fantastiche lo apprezzo per la dimensione d’avventura che riesce a trasmettere fin dalle prime pagine. Fuori la neve azzurra semina la morte, il protagonista, Juan Galvez, con gli amici, la moglie e la figlia, deve cercare di sopravvivere, in attesa di aiuti che forse non arriveranno mai. All’improvviso la vita cambia, i personaggi si muovono continuamente in un mondo nuovo e pericoloso.

Sembra che la realtà si sia divertita a giocare con Oesterheld, riservandogli la sorte atroce dei suoi personaggi. Il 21 aprile 1977 (probabilmente) Oesterheld viene portato via da uno squadrone della morte e scompare. Perché? Perché L’Eternauta, soprattutto la seconda parte, quella scritta e pubblicata negli anni ’70, era una metafora della dittatura argentina? Perché il suo autore aveva scritto, nel 1968, una biografia di Ernesto “Che” Guevara? Io non credo. Sarebbe magari poetico (il Potere che cerca di annientare la forza della fantasia), ma poco reale. È più probabile che Oesterheld sia stato fatto scomparire perché era un montonero, un militante della sinistra non marxista che si opponeva alla dittatura. Il dato biografico che io trovo agghiacciante nella vicenda di Oesterheld, è che la sua famiglia sia stata decimata con lui. Le sue quattro figlie (probabilmente montoneras anch’esse), due delle quali incinte di sei e otto mesi, e i mariti delle due ragazze in attesa, divennero desaparecidos, “spariti”. Della famiglia di Oesterheld sopravvivrà solo la moglie, Elsa Sanchez. Perché tanto accanimento?

Dal 1976 al 1982, in Argentina sono state fatte sparire circa 30.000 persone. Erano sindacalisti, studenti, impiegati… e almeno uno di loro era uno sceneggiatore di fumetti. Si opponevano alla dittatura militare, quindi sono stati torturati, uccisi e le spoglie rese introvabili. Dov’è il corpo di Oesterheld? Dove sono i suoi nipoti? Uccisi assieme alle madri nel loro grembo, o adottati da coppie argentine fedeli alla dittatura?

C’è una vignetta nelle prime pagine de L’Eternauta, in cui Juan Galvez, pensando al pericolo che incombe fuori casa si interroga sulla sorte della moglie e della figlia:

“…Riuscirò a salvarle? Come potrò aiutarle quando si renderanno conto di quello che veramente sta accadendo intorno a noi?”

Non vi dico se Galvez ce l’ha fatta, Oesterheld no.

Quando si parla dell’Olocausto degli ebrei sotto il nazismo, si specifica l’importanza di ricordarlo perché non si ripeta. In realtà dal dopoguerra a tutt’oggi si è già ripetuto più volte. Per rimanere in America latina, basti pensare al golpe di Pinochet in Cile e al terrorismo di Stato in Argentina. Sono due esempi di Olocausto.

Olocausto: la radice etimologica della parola significa sacrificio religioso. I Leviti bruciavano interamente uno o più capi di bestiame offrendolo a Dio, e Omero fa bruciare a Ulisse delle bestie ogni volta che lui vuol rendere grazie agli dèi. Se vogliamo attenerci al concetto religioso celato in questo termine, allora per olocausto si intende il sacrificio di una parte della popolazione per salvare l’altra. Io credo che sia così: l’unico modo per spiegarmi l’eccidio degli Ebrei, dei cileni di sinistra sotto la dittatura militare, e di quelli argentini pochi anni dopo, è che chi li ha uccisi si sia sentito investito da una missione purificatrice. Non si combatteva un avversario ma si eliminava un sovversivo: montoneros o ebrei minavano i valori che i loro assassini ritenevano fondanti per la società. Sarebbe impossibile spiegare un olocausto in termini di devianza psicologica, dietro ci sono ragioni e valori: convinzioni profonde. A un certo punto la popolazione di uno Stato si sente divisa e una parte, la più forte, tratta l’altra come “sbagliata”, decidendo di cancellarla. Ci deve essere la convinzione che i cittadini errati siano “non umani”, o forse meglio “anti-umani”.

Ogni volta che penso all’Eternauta penso a Oesterheld, ogni volta che penso a Oesterheld penso ai desaparecidos, ogni volta che penso ai desaparecidos penso a tutti coloro che sono stati ammazzati perché appartenevano a un gruppo umano considerato sbagliato. Di fronte a episodi di tali proporzioni in me la rabbia viene sopraffatta da un senso di impotenza, mi sento come un bue intontito che rumina in mezzo al campo, sta arrivando la tempesta di grandine ma lui non si muove, sa che dovrebbe mettersi al riparo, ma non riesce a pensare, rumina non perché ha fame, ma perché è l’unica idea che il suo cervello riesce a realizzare. Quando mi riscuoto da questo torpore la rabbia ha come perso la sua occasione, e penso, da scrittore, che è un bene. Diffido dell’indignazione, perché è un modo per consolarsi. In fondo un libro deve interrogare, non affermare.

Chiedersi quali siano le ragioni dell’altro non è un modo per non attribuirgli una colpa, ma di cercare di capirla. Solo penetrandola si può gettare un ponte verso il lato scuro di noi, perché non esistono uomini e no, ma persone animate da certezze, giustificazioni, ideali, e per quanto ci possa sembrare incredibile potremmo sempre trovarci dalla parte di chi decide di cancellare qualcun altro.
Mi viene in mente Fenoglio, un autore che stimo. Chi legge le sue opere narrative sulla Resistenza non ha bisogno di sapere che è stato partigiano per capire con chi si schiera, ma l’“altro”, nelle sue pagine non perde mai la fisionomia umana. La posta in gioco, per chi scrive di guerre o diritti umani violati, è proprio questa: evitare la facilità dello sdegno per seguire la strada dell’analisi, che è un mosaico di domande.

NOTE
— Gli unici cenni biografici sulla fine di Oesterheld li ho trovati nel catalogo della mostra a lui dedicata, “Donde está Oesterheld – il fumetto argentino desaparecido”, a cura di Alligo, Gedda e Vigna, pubblicato da Lo Scarabeo, Torino, 2002. La mostra si è tenuta a Torino, nel Museo dell’Automobile, dal 8/02/2002 al 7/03/2002.

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